Sergio Dalmasso storico del movimento operaio. QUADERNI CIPEC e Altri Scritti
  

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Convegno sugli anni '50    Torna alle categorie

Convegno sugli anni Cinquanta

 Convegno sugli anni ’50

 

Al fondo di un bicchiere

 

Il mito americano nella vita e nelle canzoni del “grande Fred”

 

Radio e TV nel 1959 censurano Tua di Jula De Palma perché la cantante la propone in modo troppo sensuale. Dalle canzoni, perché siano trasmesse, è meglio evitare i riferimenti ai baci o ad amori che non siano più che “legittimi”. Non parliamo del termine “amante” rigorosamente vietato anche ai giornali. Non hanno accesso alle trasmissioni cantanti la cui “moralità” o la cui situazione matrimoniale siano “dubbie”

Ancora negli anni successivi, saranno seccamente proibite non solo le canzoni politiche e tanti termini di uso corrente, ma C’era un ragazzo, cantata da Morandi, per il riferimento al Vietnam, Bocca di rosa di De Andrè, Dio è morto di Guccini; altri brani verranno modificati parzialmente o gli autori saranno costretti all’autocensura. L’elenco sarebbe troppo lungo.

In questa canzone fatti di gorgheggi tra cuore ed amore, di mogli trepidanti, mamme piangenti (tra i meno giovani qualcuno ricorda il successo di E la barca tornò sola?), amori imperituri…compare, quasi per una eccezione, l’irripetibile personaggio di Fred Buscaglione.

Nel 1958, Modugno sconfigge la favorita Nilla Pizzi al festival di Sanremo; i giovani, non solo nelle città amano il rock, ballano in modo sfrenato e partecipano ai concerti, urlando e dimenandosi, come fanno i cantanti sul palco. I juke boxes portano le canzoni nei bar e sulle spiagge. I 45 giri si vendono ormai in grande numero. Un grande pianista napoletano, Renato Carosone, inventa ritmi inusuali, parodie di canzoni celebri, inserisce l’ironia nella seriosità di trasmissioni e manifestazioni, propone il mito americano nella Napoli di Fuorigrotta e Toledo.

In questo quadro, Buscaglione conosce un successo enorme quanto rapido.

Nasce a Torino nel 1921. La madre è portiera in un palazzo al numero 3 di piazza Cavour. Per arrotondare il bilancio familiare, ma anche per la passione verso la musica, suona  il contrabbasso e il violino in piccoli locali, nei “nights”, in estate nel dehor dell’hotel Ligure. Il modello: le orchestre americane che propongono ballabili, con qualche venatura jazzistica. Conosce Leo Chiosso, con cui anni dopo, avrà un fortunato sodalizio.

La guerra lo porta in Sardegna, dove è catturato dalle truppe americane. Entra a far parte della banda militare che trasmette dalla radio alleata di Cagliari.

A guerra finita, ritorna alla sua città e riprende la vita da musicista. Nel corso di una tournée a Lugano incontra una giovane marocchina, Fatima Robbins,  che fa la contorsionista. Diventerà sua moglie e canterà nel suo gruppo.

Scrive le prime canzoni con Leo Chiosso. Queste disegnano un mondo lontano e leggendario, un mito americano fatto di duri che vivono avventurosamente, che rifiutano le norme imposte, tra nights, risse, soldi facili, avventure, donne fascinose dalle mille curve. Buscaglione veste da duro, ha i baffi alla Clark Gable, atteggiamenti alla Humphey Bogart, i capelli impomatati, sempre la sigaretta e il bicchiere di wisky. E’ la trasposizione del cinema americano, dei romanzi polizieschi di Hammett, ma c’è forse qualche cosa dei quartieri periferici di Torino (abita in via Bava, in borgo Vanchiglia), narrati anche da Pavese, in anni che precedono di poco quelli in cui Gaber canterà le imprese del Cerutti Gino e Jannacci la banda dell’Ortica

Buscaglione canta nelle sale da ballo della città, in quelle in riva al Po, alla sala Gay di Via Pomba, al Faro di via Po (dove si racconta che, quando lui iniziava i suoi pezzi, tutti smettessero di ballare).

Chiosso lo convince ad incidere le loro canzoni. Fa da tramite con le case discografiche un altro torinese, Gino Latilla, allora all’apice della carriera, per il quale i due hanno scritto Tchumbala bay.

Arriva il successo, con brani unici ed impensabili nella canzonetta italiana che ci portano in una Chicago anni trenta, interpretata con l’ironia e il sorriso. Piace l’identificazione tra il cantante e i testi che interpreta, piace il rifiuto della retorica di tanti brani anche a chi rifiuta, per età o per formazione, il rock dei giovanissimi.

Che bambola (1956) sfiora il milione di dischi, l’anno successivo è la volta di Teresa non sparare, nel 1958 di Eri piccola, forse ancor oggi, il brano più noto. L’ironia procede, tra sparatorie, inseguimenti e botte, con Che notte, l’autorappresentazione arriva al massimo con Wisky facile (Se c’è una cosa che mi fa tanto male è l’acqua minerale) o con Il dritto di Chicago.

Il riferimento al playboy Porfirio Rubirosa, al centro delle cronache mondane del tempo, fa nascere la gustosa Porfirio Villarosa (quello che faceva il manovale alla Viscosa e che dalla periferia di Torino è giunto ad essere amato dalla donne più belle del mondo).

Non manca, quasi per contrasto, una vena più romantica che si trova in Una sigaretta, in Love in Portofino, in Guarda che luna.

Lo scopre il cinema: In un anno partecipa, generalmente in piccole parti, a dieci film. Nessun grande regista, tranne Dino Risi, ma gli attori sono i migliori della commedia italiana: Totò, Giovanna Ralli, Tognazzi, Vianello, Dorelli, Panelli, Bice Valori, Maurizio Arena, Lorella De Luca, Sordi, Mario Carotenuto, Marisa Merlini….Anche nei film (per tutti, Noi duri, del 1959) in genere è il ganster, facile all’alcool, al tabacco, alle donne

Ha poco più di trent’otto anni, quando alle 6.20 di mattina del 3 febbraio 1960, a Roma la sua auto, una Thunderbind rosa (costata l’astronomica cifra di sei milioni) si scontra con un camion.

Buscaglione muore all’istante, in una morte che sembra riprodurre scene di tante sue canzoni (i colpi sparati col fucile da Teresa).

L’amico Leo Chiosso scriverà: L’archetto si è sfrangiato nel cantare/ troppo acuto di urgenze non espresse/ ancora dal tuo fragile violino/ nell’urlo di una Thunderbird ferita./ Canteremo da soli il tuo ricordo.

Nasce il mito, anche se nessuno mai riuscirà ad imitarlo. Se “Il corriere della sera non rinuncia a notazioni moralistiche ( Non sarebbe morto… se avesse saputo resistere alle suggestioni della vita notturna), “L’Unità” ne sottolinea la vena popolare e la capacità di ironizzare sul mito americano.

I funerali vedono una enorme partecipazione della sua Torino, di studenti, di giovani operai della città di fabbrica.

Il mese precedente, ai primi di gennaio quel lungo 1960 (quello delle Olimpiadi di Roma e della protesta popolare contro il governo Tambroni)  se ne era andato Fausto Coppi.

Poco prima, triste per la separazione dalla moglie, quasi profetico, aveva scritto Nel cielo del bar che dice: Ci vediamo al fondo di un bicchiere/ fino a quando l’alba nel cielo tornerà/ e nell’alba disperata/ sarà triste rincasare/ per attendere la notte/ e poterti ritrovare/ al fondo di un bicchiere/ nel cielo dei bar.

Sergio Dalmasso